La violenza

LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

La violenza contro le donne, già affrontata a livello sovranazionale nel 1979 dall’Organizzazione Generale delle Nazioni Unite con la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna (CEDAW), ha ricevuto un’attenzione più incisiva nel 1993 quando l’ONU ha adottato la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne. Il documento, che assume un ruolo fondamentale, per la prima volta fornisce una descrizione dettagliata del fenomeno. All’art.1 descrive la violenza contro le donne come “qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”. All’articolo 2 fornisce un quadro delle varie forme di violenza stabilendo che questa dovrà comprendere, ma non limitarsi, a quanto segue:

  • la violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene in famiglia incluse le percosse, l’abuso sessuale delle bambine nel luogo domestico, la violenza legata alla dote, lo stupro coniugale, le mutilazioni dei genitali femminili e altre pratiche tradizionali dannose per le donne, la violenza non maritale e la violenza legata allo sfruttamento;

  • la violenza fisica, sessuale e psicologica che avviene nella comunità nel suo complesso, incluso lo stupro, l’abuso sessuale, la molestia sessuale e l’intimidazione sul lavoro, negli istituti scolastici e altrove, la tratta delle donne e la prostituzione forzata;

  • la violenza fisica, sessuale e psicologica commessa o condonata dallo Stato, ovunque avvenga.

 

Il primo vero strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne è la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014 a seguito del raggiungimento del prescritto numero di dieci ratifiche.

L’Italia, con la legge 27 giugno 2013, n. 77, è stata tra i primi Paesi in Europa a ratificare la Convenzione di Istanbul e a stretto giro di posta il Governo ha emanato il decreto legge 93/2013 - noto come decreto antifemminicidio - convertito in legge n. 119/2013. La legge del 2013, che contiene disposizioni volte a prevenire e reprimere la violenza domestica e di genere, è intervenuta sul codice penale introducendo un’aggravante comune per i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché per i maltrattamenti in famiglia, da applicare se i fatti sono commessi in danno o in presenza di minori; ha introdotto la misura di prevenzione dell’ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking; ha inserito alcune misure relative all’allontanamento dalla casa familiare e all’arresto obbligatorio in flagranza dell’autore delle violenze; ha previsto la possibilità di operare un controllo a distanza del presunto autore di atti di violenza domestica attraverso il braccialetto elettronico; è intervenuta sul codice di procedura penale consentendo, anche nelle indagini per stalking, di disporre intercettazioni; ha inserito i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking tra quelli con priorità assoluta nella formazione dei ruoli d’udienza e ha demandato al Ministro per le Pari Opportunità l’elaborazione di un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, con lo scopo di affrontare in modo organico e in sinergia con i principali attori coinvolti a livello sia centrale che territoriale il fenomeno della violenza contro le donne.

Il Piano, che costituisce lo snodo centrale dell’azione di contrasto alla violenza di genere, è stato adottato con DPCM 7 luglio 2015 e ha previsto interventi relativi all’educazione nelle scuole, alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, al potenziamento dei centri antiviolenza, al sostegno delle vittime, al recupero degli autori dei reati e alla formazione degli operatori del settore.

 

I CENTRI ANTIVIOLENZA

Il Piano d’azione viene attuato con il coinvolgimento delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza, ovvero strutture che accolgono le vittime di abusi, coadiuvandole nella protezione e nel percorso di recupero e garantendo loro assistenza telefonica, colloqui personali, ospitalità in case rifugio e numerosi altri servizi. Svolgono attività di consulenza psicologica e legale, coordinano gruppi di sostegno, si occupano di formazione, promozione, sensibilizzazione e prevenzione, raccolta ed elaborazione dati, orientamento e accompagnamento al lavoro, raccolta di materiale bibliografico e documentario sui temi della violenza. Le case rifugio, spesso a indirizzo segreto, ospitano le donne e i loro figli minorenni in situazioni di emergenza.

Il 29 settembre 2008 è nata a Roma D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, la prima associazione italiana a carattere nazionale di Centri antiviolenza non istituzionali e gestiti da associazioni di donne, che riunisce 80 Centri di tutta l'Italia tra cui Prospettiva Donna.

 

LA VIOLENZA DOMESTICA

Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la violenza domestica è un fenomeno molto diffuso che riguarda ogni forma di abuso psicologico, fisico, sessuale e le varie forme di comportamenti coercitivi esercitati per controllare emotivamente una persona che fa parte del nucleo familiare. Può portare gravi conseguenze nella vita psichica di chi la subisce perché può far sviluppare problemi psicologici come sindromi depressive, disturbi somatici come tachicardia, sintomi di ansia, tensione, sensi di colpa e vergogna, bassa autostima, disturbo post-traumatico da stress e molti altri. Le condizioni di chi subisce la violenza sono tanto più gravi quanto più la violenza si protrae nel tempo, o quanto più esiste un legame consanguineo tra l’aggressore e la vittima. Dal punto di vista fisico le violenze domestiche possono generare gravi danni permanenti e portare difficoltà del sonno o nella respirazione. Le conseguenze della violenza domestica protratta nel tempo lasciano segni anche sul piano relazionale perché le vittime che la subiscono spesso perdono il lavoro, la casa, gli amici e le risorse economiche di sostentamento.

La violenza domestica contro le donne appare un aspetto fortemente sottostimato per vari e complessi motivi d'ordine psicologico e culturale. La famiglia assume ancora un aspetto portante della vita individuale delle persone, ma anche un’istituzione sociale. Inoltre, la vergogna, nonché la sudditanza, la prostrazione psicologica e la paura, che impregnano la vita di chi subisce violenza, rendono particolarmente difficile l’emergere di questi fenomeni.

Tali aspetti fanno sì che sia chi vive situazioni di violenza domestica sia chi ne viene a conoscenza compie spesso dei meccanismi di negazione per giustificare o minimizzare la gravità di quanto sta accadendo, lasciando tutti più tranquilli nelle proprie sicurezze o speranze che sia l’ultima volta. La violenza domestica va declinata nei suoi vari aspetti, perché molto spesso chi la subisce fa fatica a riconoscerla. Quando si ripete ciclicamente nel tempo assume le connotazioni del maltrattamento.

Rientrano nella violenza domestica:

  • violenza sessuale (stupro, tentato stupro, molestie);

  • violenza fisica, (percosse, ferite, omicidio);

  • violenza psicologica e verbale (minacce, ricatti, denigrazioni, svalutazioni);

  • violenza economica (privazione di fondi e risorse).

 

VIOLENZA SESSUALE

E’ violenza sessuale costringere la donna ad avere rapporti sessuali con la forza o con ricatti, l’attività sessuale violenta, imporre pratiche indesiderate, costringerla a utilizzare materiale pornografico o ad avere rapporti sessuali in presenza o con altre persone, imporle rapporti che implicano farle male fisicamente e/o psicologicamente e qualsiasi o situazione che la metta a disagio o la degradi sessualmente.

 

VIOLENZA FISICA

E’ violenza fisica spingere, strattonare, trattenere la donna impedendogli di muoversi, rompere o danneggiare oggetti in sua vicinanza, picchiarla, schiaffeggiarla, morderla, causarle bruciature di sigarette, tirarle calci o pugni, strapparle i capelli, tagliarle i vestiti, chiuderla in una stanza o fuori casa, minacciarla con armi o strumenti o qualsiasi atto che violi il suo confine fisico con la forza e senza il suo consenso.

 

VIOLENZA PSICOLOGICA

La violenza psicologica nei confronti della donna costituisce un modello di comportamento protratto nel tempo e diretto a controllare la vittima attraverso l’uso della manipolazione, dell’inganno, delle minacce, dell’intimidazione, del ricatto emotivo, dell’abuso verbale, degli insulti, della coercizione e dell’umiliazione.  Tra le strategie maggiormente utilizzate rientrano:

  • attacchi verbali come la derisione, l’insulto, la denigrazione e le critiche, finalizzati a convincere la donna di non valere nulla per meglio tenerla sotto controllo;

  • minacce di abbandono, di divorzio, di inizio di una nuova relazione se la donna non soddisfa determinate richieste;

  • atteggiamenti altezzosi e di sufficienza nei confronti dei bisogni della donna e dei suoi cari;

  • tentativo di isolamento della donna dalla sua famiglia e dalla sua cerchia sociale;

  • intimidazioni e ricatti morali;

  • silenzi punitivi;

  • atteggiamenti di sarcasmo e di svalutazione;

  • colpevolizzazione;

  • controllo.

Secondo Fabio Roia, autore del volume Crimini contro le donne, edito da Franco Angeli,
la causa della violenza psicologica è, spesso, un disturbo della personalità di tipo narcisistico dell'autore delle condotte violente, il quale mette in atto dapprima un meccanismo di seduzione al quale segue un comportamento di squalificazione sistematica dell'altro/a che si manifesta mediante cinismo eccessivo, violenza verbale, comportamenti che sono finalizzati a mettere in ridicolo le convinzioni e le capacità di giudizio del partner e continue denigrazioni in pubblico o in privato. A seguito di queste condotte reiterate nel tempo, le conseguenze sul piano psicologico della vittima sono devastanti in termini di perdita di autostima e di privazione dell'autodeterminazione. A differenza dei casi di violenza fisica, nei quali l'idea della responsabilità della vittima viene smentita dalla illiceità palese del comportamento dell'autore, nei casi di violenza psicologica, nei quali la condotta dell'autore è caratterizzata da diverse sfumature, vi è il rischio che la vittima non riesca a trovare un supporto esterno, soprattutto perché non compresa dalle istituzioni, prima la polizia giudiziaria poi l'autorità giudiziaria.

 

VIOLENZA ECONOMICA

Comprende il controllo eccessivo del conto bancario e della gestione delle spese, la sottrazione di denaro, lo sfruttamento delle risorse economiche della donna o il suo utilizzo come forza lavoro nell’azienda familiare senza retribuzione né potere decisionale o accesso ai mezzi finanziari.

 

LO STALKING

Sono molti gli studi sul fenomeno dello stalking, termine inglese (letteralmente fare la posta) con cui si è soliti qualificare comportamenti reiterati di tipo persecutorio, realizzati dal soggetto persecutore nei confronti della sua vittima: si tratta di un insieme di condotte vessatorie che prendono la forma di minacce, molestie, atti lesivi continuati e tali da indurre nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore.

Le principali categorie attraverso le quali si può attuare lo stalking sono:

  • comunicazioni intrusive e persecutorie che si attuano con l’ausilio di strumenti come telefono, lettere, sms , e-mail o persino graffiti e murales;

  • contatti che possono essere attuati sia attraverso comportamenti di controllo (pedinamento) sia mediante il confronto diretto (visite sotto casa o sul posto di lavoro).

 

Le condotte tipiche dello stalking configurano il reato di "atti persecutori" introdotto con il Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito dalla legge 23 aprile 2009, n. 38 che ha introdotto nel codice penale l'articolo 612-bis che al comma 1 recita:

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

A ciò si aggiungono alcune norme accessorie, ossia l'aumento di pena in caso di recidiva o se il soggetto perseguitato è un minore, il fatto che lo stalking costituisca un'aggravante in caso di omicidio e violenza sessuale e la possibilità di ricorrere alle misure di indagine previste per i reati più gravi, quali le intercettazioni telefoniche e gli incidenti probatori finalizzati ad acquisire le testimonianze di minori. Questa fattispecie di reato è normalmente procedibile a querela, ma è prevista la procedibilità d'ufficio qualora la vittima sia un minore, una persona disabile, quando il reato è connesso con altro delitto procedibile d'ufficio e quando lo stalker è già stato ammonito precedentemente dal questore.

 

LA VIOLENZA ASSISTITA

La violenza assistita è una forma di abuso minorile, un maltrattamento psicologico che si verifica prevalentemente in ambito familiare in presenza di violenza domestica. Secondo la definizione messa a punto dal CISMAI, il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia, "la violenza assistita da minori si verifica quando i bambini sono spettatori di qualsiasi forma di maltrattamento espresso attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minori". È una violenza indiretta, non subita in prima persona, ma da altri individui presenti in famiglia, generalmente la madre e/o fratelli e sorelle.

Ai testimoni di violenza è negata la vita familiare che favorisce un sano sviluppo. Essi convivono con paura e ansia, mista a rabbia, imbarazzo e umiliazione. Sono sempre in guardia, in attesa che si verifichi il prossimo evento. Non avendo possibilità di prevederne i tempi, non si sentono mai al sicuro, si preoccupano per se stessi, per la loro madre e per i fratelli e sorelle. La rabbia è rivolta non solo verso l'abusante ma anche verso la madre, colpevole di non essere in grado di prevenire la violenza. Si sentono inutili, impotenti e spesso responsabili degli scontri fra i genitori. Quasi sempre sono tenuti a mantenere il segreto di famiglia. Si sentono isolati e vulnerabili, abbandonati fisicamente ed emotivamente, sono in cerca di attenzione, affetto e approvazione; il loro attaccamento è danneggiato e sono incapaci di provare fiducia. Se esposti a fonti di stress molto intense, possono sviluppare un disturbo post traumatico da stress.

Spesso presentano disturbi del sonno, mancanza di concentrazione con scarso rendimento scolastico, mal di stomaco e/o mal di testa, enuresi, tristezza, depressione e rabbia. Possono verificarsi ritardi di sviluppo, riduzione delle capacità cognitive e la sindrome da deficit di attenzione e iperattività. I/le bambini/e a loro volta possono esprimersi in modo aggressivo con la madre o con i coetanei, fino ad agire atti di bullismo.

La violenza assistita è indicata come fattore di rischio per altri tipi di maltrattamento verso i minori, come il maltrattamento fisico, la trascuratezza e l’abuso sessuale.

 

LA SPIRALE DELLA VIOLENZA

La violenza non si manifesta sempre apertamente, è spesso esercitata in modo subdolo e segue un ciclo - la spirale della violenza- che si articola in più fasi. Se non è detto che alla violenza psicologica segua necessariamente quella fisica, è vero il contrario: la violenza fisica è SEMPRE preceduta da abusi psicologici. E’ pertanto fondamentale saper riconoscere i primi segnali di sopraffazione per chiudere la relazione, cercare protezione e mettersi al riparo.

Inizialmente si assiste a una fase di intimidazione in cui il partner fa di tutto perché la donna viva in uno stato di paura minacciando anche di lasciarla se non fa ciò che dice. Spesso questa fase passa in sordina e viene confusa con quella nella nostra cultura è indice di gelosia, partendo da espressioni comunissime, una per tutte: “Se fai questo (esci con le amiche, ti comporti in un certo modo, etc.) vuol dire che non mi ami”. Caratteristica di questa fase è far sentire la donna pazza, squilibrata e colpevole generando uno stato di caos emotivo e confusione in cui si perdono riferimenti e parametri (manipolazione e gaslighting).

Segue poi un periodo di isolamento: in seguito a scenate di gelosia e a continue richieste e lamentele è possibile che la donna tenda ad isolarsi dalla famiglia, dagli amici, dai colleghi di lavoro e dal resto del mondo.

Si assiste quindi a una crescita della tensione all’interno della relazione con meccanismi di svalutazione e mortificazione della donna: siamo in piena violenza psicologica. Nonostante la vittima tenti di non creare situazioni conflittuali che possano provocare una reazione violenta da parte del partner, questo cercherà qualsiasi occasione per denigrarla e umiliarla.

Alla violenza psicologica può seguire quella fisica e sessuale. L’escalation è caratterizzata da false riappacificazioni, momenti di pentimento in cui il partner sembra tornare quello di cui ci si era innamorate tempo prima. A volte anche i familiari e gli amici fanno pressione affinché lo si perdoni e gli si conceda un’altra chance.

Il femminicidio non è un episodio isolato di follia. Il raptus, come hanno sottolineato fior di psicologi e psichiatri, non esiste. Il femminicidio è invece l’atto conclusivo di un’escalation di violenza che parte da lontano con chiari ed evidenti segni premonitori che è bene riconoscere e saper valutare.